Claudio Montini


Artista e Pittore Romagnolo: Enigma tra irrealtà e realtà dell’immaginazione.

Storia

Profilo


Pittore dotato di rara felicità espressiva e capace di veloci, quasi subitanee, rese figurative anche dei soggetti più difficili e complessi.

Claudio Montini ha partecipato a poche esposizioni collettive, in gran parte di ambito locale. Ha dipinto occasionalmente e, sempre senza tempi obbligati, dedicandosi anche al raffinamento delle tante opere ancora conservate in studio. 


Formazione e Opere


Dopo essersi laureato in pittura all’Accademia di Belle Arti di Bologna, Montini ha partecipato ad una serie di mostre collettive a Forlì, (1980), Faenza, “Biennale Giovani” (1984 e 1985) e ha tenuto mostre personali a Cotignola (1983) e Faenza (1986)


Dopo poche altre mostre collettive e una personale a Cisterna di Latina (1990) si è ritirato a dimensione privata, dipingendo raramente o perfezionando. Negli anni è emersa nel suo lavoro una carica ironica, quasi favolistica, che sembra irridere alle premesse eroiche, sublimi e supreme dei suoi primi lavori e dei suoi maestri di riferimento di ambito romantico.


Piccole note sulla sua vita


  • Nasce a Bagnacavallo (RA) il 25/8/1956 
  • Muore a Faenza (RA) il 24/12/2021
  • Passa i primi anni della sua vita a Boncellino di Bagnacavallo (RA), dove il padre aveva una bottega artigiana da fabbro.
  • Poi la famiglia si trasferisce a Cotignola, dove frequenterà la scuola dell’obbligo e ci resterà fino al 1984 
  • Sempre a Cotignola si avvicinerà alla pittura frequentando la locale scuola di Arti e Mestieri con il Prof. Guerrini
  • Frequenta poi l’ITIS di Faenza dove diventerò perito meccanico nel 1975
  • Nel 1975 si iscrive alla Accademia di Belle Arti di Bologna, e si diploma nel 1979
  • Dal 1980 al 2017 lavora come grafico presso lo Studio Globe di Forlì
  • Fu uno dei protagonisti di Radio Music International di Cotignola con un programma musicale punk (attraverso la radio fece conoscere il Punk inglese in Romagna)
  • Fu il leader punk dei giovani cotignolesi protagonista di Cotignola Rock nel 1979




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Pochi critici si sono interessati al suo lavoro e la sua opera è in attesa non solo di considerazione ma, ancor prima, di conoscenza.

Opere


Collage




Un modo che Claudio ha sempre avuto di esprimere sè stesso e i momenti trascorsi con i suoi amici.


Non una passione solo per la pittura, bensì qualcosa che accorpa tutta l'arte in generale:

musica, fotografie, opere, scrittura.


Un appassionato e creatore difficilmente comprensibile dai più, ma pieno di cose da dire attraverso opere che ora osserviamo con nuovi occhi.


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Mostre

1983 

  1. Palazzo Sforza Cotignola, 
  2. A cura di Claudio Cerritelli e Mario Baldini
  3. Depliant con nota critica di Cerritelli
  4. Comune di Cotignola 


1984/1985 

  1. Palazzo delle esposizioni - Biennale giovane di Faenza
  2. A cura di Claudio Cerritelli
  3. Comune di Faenza


1986 

  1. La galleria del Voltone della Molinella di Faenza
  2. Personale 
  3. curata da Claudio Montini


1990 

  1. Luoghi vari - Lugo Crea 
  2. Una panoramica lughese su arti visive, moda, musica classica, jazz e rock, poesia, video
  3. Sezione mostre arti visive: Collettiva a cura di Aldo Savini
  4. Coordinamento Gilberto Minguzzi 
  5. Direzione artistica Gian Ruggero Manzoni, Daniele Serafini
  6. Introduzione al catalogo Claudio Spadoni
  7. Pubblicato un libro catalogo
  8. Unione Comunale di Lugo del PCI


1990 

  1. Galleria Romberg, Cisterna - Nowhere Land
  2. Personale 
  3. Inaugurazione 27 ottobre 1990
  4. A cura della Galleria Romberg


1999 

  1. Centro Culturale San Rocco Centro culturale Il GRANAIO di Fusignano - Paesaggio, Cinquanta pittori della Romagna del 900
  2. Collettiva a cura di Aldo Savini
  3. Catalogo
  4. Presentazione di Giulio Guberti Introduzione di Aldo Savini Aldo 
  5. 19 dicembre 1999 31 gennaio 2000
  6. Comune di Fusignano


2014 

  1. Museo di San Domenico di Imola - Arte dal vero
  2. Aspetti della figurazione in Romagna dal 1900 a oggi
  3. Collettiva
  4. 7 novembre 2014 - 8 marzo 2015
  5. A cura di Franco Bertoni
  6. Fondazione Cassa di Risparmio di Imola – Comune di Imola


2023 

  1. Museo Ugonia, Rocca Manfrediana di Brisighella - “Natura morta/oggi/in Romagna”
  2. Collettiva
  3. A cura di Franco Bertoni


2024

  1. Ex Ospedale Testi, Costignola (RA)Romagna”
  2. Claudio Montini – The end – Paesaggio con dolcissima fiera
  3. A cura di Massimiliano Fabbri e Federico Settembrini



Dal 1987 Ca’ bruciata 

  1. Dal 1987 fino agli inizi degli anni 90 ha partecipato a tutte le edizioni di una iniziativa di pittura estemporanea a Ca’ bruciata, un casolare delle prime colline vicino a Brisighella, organizzata da Cesare Reggiani e Nedo Merendi.
  2. Per diversi anni è stato un appuntamento fisso, un’avventura artistica piena di divertimento e di allegria. 
  3. ha partecipato con molto divertimento.
  4. Nel corso degli anni l’iniziativa si è allargata anche ad altri amici pittori provenienti da varie parti d’Italia. 
  5. Ogni anno partecipavano una trentina di artisti che restavano in questo casolare, accampati anche in tenda, per 3 giorni per fare un’opera di pittura su un tema designato. 
  6. La manifestazione si concludeva con l’esposizione delle opere, una premiazione con giuria costituita ad hoc.
  7. ha partecipato tutti gli anni e fu premiato per diverse volte. 



Mostre San Domenico Forli 

  1. Dal 2006 al 2017 ha curato per conto dello studio Globe, vincitore dell’appalto, le varie fasi degli allestimenti della parte grafica al posizionamento (erano il suo incubo) delle mostre tenute al San Domenico
  2. 2006 Palmezzano, 2007 Silvestro Lega, 2008 Maceo, 2009 Canova, 2010 Fiori, 20011 Melozzo, 20012 Wildt, 2013 Novecento fotografica, 2014 Liberty, 2015 Boldini - Mc Curry
  3. 2016 Piero della Francesca - Salgado
  4. 2017 Art decorazioni



Cinema

Negli anni novanta è stato uno dei protagonisti del Cineclub del raggio verde di Faenza per la programmazione delle rassegne estive dell’Arena Borghesi di Faenza, realizzando per alcuni anni anche la grafica delle copertine dei depliant. 


Ha partecipato ad una rassegna concorso di filmati a Cesena nel 1984 con un video di 3/4 minuti totalmente ironico
The shave after, con riprese e regia sue con la collaborazione di Moreno Pagliari. Un divertimento senza pretese, ma che ricevette un premio

Recensioni

Il geniale artista scomparso nel 2021

Claudio Montini, The End. Paesaggio con dolcissima fiera

Una pittura immaginifica e visionaria legata alla cultura romantica e simbolista

di Franzo Pozzi


In ambito sportivo e artistico esistono due vocaboli, arbitrariamente utilizzati con significato antitetico: “professionista” e “amatore”.

Il secondo ha sostituito nel tempo il più, in apparenza, discriminante “dilettante”.

Questa comunanza tra discipline così distanti, messe in indebita relazione dal comune denominatore della prestazione “muscolare”, strappava in un’intervista del 1981 un commento sarcastico a Mattia Moreni, appena acclamato dal New York Times il numero uno della pittura mondiale. 

Si chiedeva chi fossero mai – secondo quell’opinabile criterio – il numero due, il numero tre, e così via. 

E continuava, affermando come quella di chi si diletta sia la condizione privilegiata del fare: «Se non c’è divertimento, non si fa».

Jean Dubuffet, teorizzatore e praticante dell’Art Brut, l’arte prodotta da persone senza una cultura specifica e dagli alienati di mente, prima di dedicarsi completamente alla sua passione – a quarantaquattro anni – faceva il commerciante all’ingrosso di vini nell’azienda ereditata dal padre.

Ferruccio Busoni, grande pianista e compositore italiano, vissuto a cavallo dei secoli diciannovesimo e ventesimo, scriveva nel 1911 da Berlino, dove si era trasferito: «[…] Il mestiere trasforma il tempio in una fabbrica. 

Esso distrugge tutto ciò che è creativo. 

Difatti creare significa formare dal nulla! Ma il mestiere è l'officina che produce milioni d’esemplari. La “poesia su ordinazione” […]. 

Si è tentati di esclamare: Evitate il mestiere! Fate che tutto sia un principio, come se non vi fosse mai stato un principio! Non sappiate niente, ma pensate e sentite e imparate così a “creare”»!

Molti conoscono, se non altro solo per il nome, Victor Hugo, uno degli scrittori più importanti dell’Ottocento francese. 

Pochi sanno però che fu anche uno straordinario disegnatore.

Toujours en remenant la plume, usò la penna, l’inchiostro, le “clecsografe”, le mascherine ritagliate per creare immagini ultime, apocalittiche, di un’intensità e modernità sconcertanti.

I frequentatori della sua abitazione parigina - ce lo racconta l’amico scrittore Theophile Gautier - facevano a gara per accaparrarsi una delle sue carte disegnate.

A chi gli chiedeva se si considerasse un pittore, Victor rispondeva seccamente di no, probabilmente con un tantino di falsa modestia.

Claudio Montini, pittore cotignolese (nato nel 1956, scomparso nel 2021), appartiene di diritto alla schiera di artisti che lavorano senza l’assillo del mercato.

Coltivando e ammansendo quotidianamente un demone personale, ma senza forzare il proprio ritmo interno. 

Nella sua non breve carriera, con discrezione non comune, in un «voyage autour de sa chambre» ha prodotto immagini di una qualità altissima. 

Ad un primo sguardo, mai quelle tele e carte tradirebbero gli interessi del giovane Montini studente dell’Accademia di Belle Arti di Bologna – dove negli anni Settanta chi si affidava alla pittura veniva guardato con sospetto, considerato fuori tempo massimo – affascinato dalla cultura musicale underground, in particolare quella punk. Di quegli esordi - e soprattutto della maturità - ci ha dato conto una bellissima mostra nella sede espositiva dell’Ex Ospedale Testi di Cotignola, intitolata The end. 

Paesaggio con dolcissima fera, curata da due noti animatori culturali della Bassa Romagna: Federico Settembrini e Massimiliano Fabbri.

Forse l’unico riferimento certo di Montini fu il “nume” William Turner. 

I suoi dipinti sembrano imbevuti nella medesima atmosfera costruita con la pennellata franta del grande innovatore inglese. 

Che, eccentrico e provocatore, pare si facesse legare al pennone di una nave durante una tempesta, per potere poi trasferire quella visione sulla tela.

Ma molti sono gli echi che la pittura di Montini è in grado di evocare, in una sintesi personale, qualitativamente sempre elevata. 

Victor Hugo, Gustave Moreau, Odilon Redon, Mikalojus Kostantinas Ciurlionis, Antonio Fontanesi, Fernand Khnopff, Franz Von Stuck sono i primi nomi che mi balzano agli occhi guardando le opere

di questo appartato «pittore dell’Immaginario». 

In lu però quei modelli vengono mescolati a immagini non solo cinematografiche, anche televisive e pubblicitarie, in un processo di continua distillazione del visibile.

L’ironia (il cinismo?) accompagna molti dei dipinti prodotti dall’artista cotignolese. 

Forse le passioni degli esordi fanno capolino per altre vie, nel lavoro maturo del pittore. 

Del resto, quegli stessi interessi non sono inconciliabili con la sapienza del fare. Di figure nate «sotto Saturno» è piena la storia dell’arte. Un nome su tutti, Piero di Cosimo.

Mentre Leonardo consigliava ai pittori di prendere spunto dalle nuvole per dipingere una battaglia, il «molto stratto e vario di fantasia» Piero, ben più trucemente «Fermavasi talora a considerare un muro, dove lungamente fusse stato sputato da persone malate e ne cavava le battaglie de’ cavagli e le più fantastiche città e più gran paesi che si vedesse mai […]» (Vasari). 

Commettendo un consapevole arbitrio, credo possa considerarsi un primordiale equivalente del punk. 

«Non voleva che le stanze si spazzassino, voleva mangiare all’ora che la fame veniva, e non voleva che si zappasse o potasse i frutti dell’orto, anzi lasciava crescere le viti et andare i tralci per terra, et i fchi non si potevano mai, né gli altri alberi, anzi si contentava veder selvatico ogni cosa come la sua natura, allegando che le cose d’essa natura bisogna lassarle custodire a lei senza farvi altro».

L’omaggio a Montini, che nell’allestimento si è avvalso del contributo di Claudio Ballestracci e Oscar Dominguez, oltre alla stampa di un catalogo a cura di Marilena Benini - testi di Claudio Musso, Massimo Pulini, Franco Bertoni, Emilio Dalmonte, Massimiliano Fabbri, foto di Daniele Casadio – ha previsto anche la creazione di un sito web permettendo una panoramica - parziale ma sufficientemente esauriente - del suo lavoro. 

Che non è di poco conto.
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L’”iceberg” Claudio Montini

di Franco Bertoni

Claudio Montini è stato raramente presente a mostre collettive, avaro di mostre personali e praticamente assente dalla scena artistica per decenni. Sarebbe, quindi, facile catalogarlo come un pittore inattuale ed eccentrico, come un isolato, magari anche singolare ma, in fondo, come un pittore erratico che la critica è stata ben disposta, come si è visto, a lasciare a una propria deriva.

Non può essere messo in discussione il fatto che Montini, per razionale scelta o intima necessità, non ha certamente favorito il deflusso di un affascinante immaginario ma, per converso, è pur vero che gli affluenti che gli hanno dato corpo sono talmente significativi da liberarlo dall’etichetta di petit maître. 

In realtà l’”iceberg Montini” ha trasportato, sotto il pelo dell’acqua, una massa enorme di bellezze, di sogni, di enigmi, di interrogativi, di fantasie e di aperture a nuovi mondi. Per non parlare poi di una tecnica esecutiva - in Romagna viene chiamata la “mano del Signore”, un dono - talmente felice e immediata da raggiungere l’apparente facilità riservata solo ai Grandi. Aspetto questo che, va detto subito, lo distingue da tanti suoi successori che, fino ai giorni nostri, sono rimasti impegolati in una fatale discrasia tra avventurose intenzioni e una vieta e banale resa pittorica. 

Ora, questo iceberg - finalmente approdato e visibile interamente come un monolite dalle dimensioni prima inimmaginabili – può dar conto di quanto, sotto l’acqua, Montini abbia operato.

Forse, questo lavoro segreto ha avuto bisogno proprio di quello che gli si rimproverava: di star lontano dal mondo e dalle sue accidentalità, di vivere in uno stato di autosegregazione, di dipingere solo in stato di necessità, di coltivare un mondo immaginifico difficile da condividere e tanto più da spiegare. Il tutto, però, con le mille informazioni e suggestioni che potevano venirgli dal mondo dell’arte antica come dalla fiaba, dalla musica, dal cinema, dall’illustrazione più avvertita, dai cartoon, dalla debole luce di un piccolo apparecchio televisivo accolto sotto le lenzuola.

Viva, dunque, questa mostra che, nel persistente clima di devozione incontrastata alle velleità, più oratorie che fattuali, delle neoavanguardie e dei loro infausti derivati, propone all’attenzione l’opera di un pittore che non solo si è tenuto lontano dai tanto facili quanto ermetici spettacolarismi supportati dalla critica mainstream ma ha anche saputo - con rara intensità, ineguagliabile capacità espressiva e doti di innovazione mai derivative o gregarie - far rivivere i fasti della grande tradizione dell’arte.

Ancora oggi, e lo era anche nei primi anni Ottanta quando esordì come pittore figurativo, a dominare in arte sono fumoserie filosofiche o concettuali, sociologismi d’accatto, manufatti mediocri, facili trovate, vuoti ermetismi, giochi di prestigio banali e artificiosità che pur coinvolgono e portano al gridolino comunità di visitatori, curatori e critici parimenti e tristemente poveri come la presunta arte cui danno consenso e legittimazione.   

Niente di tutto questo in Montini, pittore per decisione e per consapevolezza cui si potrebbero legare, più che ad altri, i versi di Ezra Pound contro l’usura: “...con usura / non v’è chiesa con affreschi di paradiso / harpez et lux / e l’Annunciazione dell’Angelo / con le aureole sbalzate ...Pietro Lombardo non si fe’ con usura / Duccio non si fe’ con usura / né Piero della Francesca o Zuan Bellini / né fu “La Calunnia” dipinta con usura / l’Angelico non si fe’ con usura, né Ambrogio de Praedis / … con usura non sorsero Saint Trophime e Saint Hilaire / usura arrugginisce il cesello / arrugginisce arte e artigianato / tarla la tela nel telaio, nessuno / apprende l’arte di intessere oro nell’ordito / l’azzurro si incancrena con usura, non si ricama / in cremisi, smeraldo non trova il suo Memling”.

In Montini, cremisi e smeraldo hanno trovato soggetto e cantore.

Contro il tallone di ferro dell’usura artistica contemporanea, Montini ha, a suo modo, combattuto, risultandone sconfitto.

In fondo, Montini è un grande perdente ma, di fatto, la sua battaglia per un’arte ancora composta di “artigianato, abilità, inventiva, originalità, audacia, idee, intuizioni, bellezza” (Mario Vargas Llosa) esclude dal campo e mette imperiosamente in panchina gli attori della pantomima artistica contemporanea. 

I suoi quadri sembrano dirci che non è l’abito a fare il monaco e che il fare arte è permesso solo ai capaci di quella misteriosa unione di tecnica e di immaginazione che, senza soluzione di continuità e in modo indissolubile, emerge nei capolavori antichi e moderni. Non la novità per la novità in Montini ma piuttosto un intimo rispetto per la grande tradizione dell’arte e un sentire l’innovazione come un anello che si aggiunge a una lunga catena. Se l’arte è tutta contemporanea lo è perché in essa non c’è evoluzione ma soltanto una miriade di modi diversi di affrontare i grandi dilemmi umani di sempre, nel grande alveo dell’irrazionale.

Se è vero che l’arte è non solo irrazionale ma anche follia, è anche vero che tale diventa quando incontra le grandi metafore di base dell’umanità. Delle metafore irrazionali di base dell’umanità, e non solo di una personale visione, Montini è stato un alfiere coinvolto e coinvolgente. 

La dissonanza con il mondo e con l’arte a lui contemporanea lo ha portato a vertici espressivi ma anche, e non poteva essere altrimenti, a una vita diversa. Solo i manniani “Tonio Kroger”, “La morte a Venezia”, “Doktor Faustus” e il capitolo “Neve” della “Montagna incantata” mi sembrano didatticamente e didascalicamente pertinenti alla sua opera. In “Neve”, Thomas Mann porta il suo giovane protagonista, malato, nel mezzo di una tempesta di neve in alta montagna. La montagna sfidata gli appare, nella tormenta, come una entità forte, tirannica, indifferente e onnipotente. La morte sembra doverlo cogliere. In questo momento lo colgono allucinazioni di serenità e di orrore ma percepisce fino in fondo che i valori salvifici non possono nascere che dalla sperimentazione dell’odio, della malattia, della sofferenza e della morte.

Ai valori salvifici manniani della vita e dell’amore, Montini ha preferito quelli, secondo lui bastanti, della gentilezza e del sorriso. Una compassionevole ironia caratterizza, infatti, sempre più le sue ultime opere dopo esordi all’insegna di un rinnovato senso del sublime. Una sorta di testamento.

Nei primi quadri di Montini la figura umana è quasi sempre assente. A dominare sono immense forze naturali, animali terribili e costruzioni colossali senza tempo. Cieli da incubo, tempeste, acque oceaniche in subbuglio convivono nei suoi quadri con paesaggi misteriosi squarciati da tagli di luce di ignota provenienza.

Nel tempo, le sue scene si animano e appaiono personaggi da favola. L’incubo esistenziale si è tramutato in paesaggi sereni e idilliaci, in conversation pieces che hanno per attori principali gli improbabili abitanti di un mondo alla Tolkien. I colori si fanno più chiari e luminosi. Il magma primordiale, quasi infernale, viene sconfitto dall’illusione, dal sogno, dalla speranza, dal mito arcadico. L’ironia domina. Un sorriso benevolo, anche se consapevole della finzione, si stende su azioni e personaggi.

Un finale quasi da “8 e mezzo” di Fellini, altro outsider che ha fatto della finzione una ragione di vita e un marchio di fabbrica.

Se appare difficile mettere in sequenza cronologica opere non datate e spesso nemmeno firmate - cosa che potrebbe aiutare nella delineazione del suo percorso pittorico - non di meno va rilevato il fatto che tensioni e pulsioni contrastanti hanno continuato ad agitarsi nelle sue opere sempre elettriche ma vivificate da una corrente alternata. 

I sogni e i destini della vicenda umana sulla terra, dietro le apparenze, sono stati il vero oggetto delle sue opere. Da una originaria vocazione umanistica dell’arte Montini non si è voluto, infatti, discostare, preferendo – pagandone lo scotto – dedicarsi alle grandiosità e alle piccolezze della natura umana, alle sue aspirazioni e alle sue cadute, alla tragedia e alla commedia insite in ogni atto, alla serietà delle intenzioni e alla ironia sui risultati, alla realtà e al sogno, al possibile e all’impossibile.   

Il tutto, evitando le secche dei virtuosismi compiaciuti, delle programmatiche affermazioni di intenti e della sfera delle pure intenzioni. 

Tecnica e idea, in Montini, sono sempre in costante fase di interrogazione. Le pennellate sembrano talvolta aspirare a Goya per violenza e profondità dei toni ma sanno anche descrivere con minuziosità le superfici. I colori sembrano a volte uscire dalle profondità umide e buie di una grotta ma raggiungono inaspettati nitori, squillantezze e brillantezze quando si tratta di accostarsi, con commovente umanità, alle gioie e ai dolori dei più piccoli. Anche solo con un lembo di straccio imbevuto di colore, Montini era capace, in pochi minuti, di dare forma a un immaginario anche complesso, evitando la decorazione e risolvendo le materie astratte in “figure”, non solo in figurazione.

Il dubbio continua ad agitarlo fino al punto che un fiore può esser visto come un immenso e misterioso bacino d’acqua. Poiché: “Se le porte della percezione fossero allargate, ogni cosa apparirebbe quale essa è, dunque infinita” (William Blake).

Nonostante questo, Montini, come altri pittori o scultori contemporanei figurativi fuori dal coro, è stato rinchiuso in una enclave che la critica mainstream cerca di far dimenticare.

La sua vita - schiva, solitaria, fuori dalle regole, se si vuole, e tuttavia colma di grazia e gentilezza – non poteva essere diversa da quel che è stata. 

Fin dagli esordi è stato probabilmente consapevole che la sua pittura sarebbe andata incontro a handicap interpretativi e che lo stesso atto di dipingere, e molto bene, sarebbe stato sinonimo di arretratezza linguistica ed estetica. Aveva ragione, poiché le cose non hanno fatto altro che aggravarsi successivamente. Il non volere e potere entrare nell’area protettiva e salvifica delle neoavanguardie canonizzate lo hanno indotto a rinchiudersi – anche fisicamente - sempre più e a coltivare un mondo di sogni destinato, tuttavia, ad avere ricadute nella vita di tanti poiché parla di grandiosità e di piccolezze senza tempo, di bellezze e di terrori eterni.

Nel tempo, forse solo per amicizia, mi ha concesso alcune opere per mostre collettive. Di una mostra personale si è spesso parlato ma, dopo tanti tentativi, la conclusione era sempre la stessa. Con un disarmante sorriso, mi confermava che non se ne sarebbe fatto nulla. Dietro sollecitazione, per una collettiva del 2018, ha accettato di scrivere alcune righe sui suoi riferimenti ideali e credo che siano le sue uniche espressioni in questo senso di cui possiamo far conto.

Così Montini:

“Non sono su facebook e, quindi, approfitto di questa occasione per creare la mia pagina dei preferiti, che sono:

il presepe napoletano,

Spirou e Fantasio,

il Principe Valiant,

Métal Hurlant,

i fondali dipinti di Bambi, Pinocchio e Fantasia,

le copertine di Roger Dean,

Wulliam Turner: “Men with horses crossing a river”,

Jan van Eick: “La Madonna del cancelliere Rolin”,

John Williams: “La caduta di Tiro”,

Edmund Dulac,

la Hudson River School”

In questo, disarmante, intreccio il presepe napoletano rappresenta, forse, la scena, tra il sacro e il profano, in cui si agita la vita umana. Ricordando, come riporta Goethe nel suo “Viaggio in Italia”, che “ciò che conferisce a tutto lo spettacolo una nota di grazia incomparabile è lo sfondo, in cui s’incornicia il Vesuvio coi suoi dintorni”. 

Spirou e Fantasio, vi aggiungono le loro avventure tra scienziati, pazzi, gangster e dittatori in un mix di umorismo, fantascienza e fantasia. Il Principe Valiant (la cui prima alla TV italiana è del 1993), caduto il regno immaginario di Thule di cui è erede e dal quale viene esiliato dallo spietato conquistatore Cynan, trova un nuovo scopo per la propria vita andando alla ricerca di Camelot: un regno dove tra Re Artù e i Cavalieri della Tavola Rotonda, la verità, la giustizia, l’onore e l’amicizia sono forze guida e dove il potere non fa il diritto. Uno dei sogni più grandi. Inacidisce il clima il riferimento a Métal Hurlant, rivista francese pubblicata anche in Italia dal 1981, dove Moebius e Druillet, con personaggi come Arzach e Lone Sloane, portano il fumetto alla sua fase adulta con storie dalla grafica complessa, surreali e fantascientifiche. Tornano i fondali con Bambi, Pinocchio e Fantasia. Per il suo noto amore per una musica certamente ruvida, trasgressiva, selvaggia ed energica ma anche sentimentale e melodica (i Ramones e i Guns N’ Roses erano tra i suoi preferiti), le copertine di Roger Dean, illustratore britannico famoso per le sue copertine di innumerevoli album discografici a partire dagli anni Sessanta (dagli Yes e altri gruppi rock progressivo), non potevano non affascinarlo. In Dean prevalgono paesaggi e atmosfere tra fantasy e New Age, un senso di armonia, di pace e di equilibrio ed è ricorrente l’assenza di figure umane e la presenza di elementi paradossali: rocce che assomigliano a piante o a nuvole, cascate le cui acque scorrono in tutte le direzioni, ponti di rocce sospese nel vuoto. Si confronti, al proposito, il quadro con l’elefante di Montini con la cover di Dean per gli Osibisa. Quanto di disperato ma anche di languidamente malinconico è presente in Jim Morrison e Kurt Cobain doveva apparire a Montini come un ritratto di una condizione umana inappagata ma anche in continua e tormentata ricerca.

Poi, il grande idolo: William Turner, che Montini citava col nome per esteso, Joseph Mallord William Turner, in manifesto segno di venerazione. In Turner vedeva, ai suoi esempi più alti, una miscela di paesaggio, mitologia e storia, anche contemporanea, senza soluzione di continuità. Un modello, forse, anche di vita per l’essere, al tempo stesso, un magnifico ostensore di bellezze ma anche figura, soprattutto nel finale, schiva, umbratile e prostrata da ombre interiori che lo portarono addirittura alla rinuncia all’identità: al dentista di cui necessitava disse, infatti, di chiamarsi Puggy Booth. Quello per Turner è l’amore per gli antichi maestri: l’amore per il paesaggio, l’amore per un

virtuosismo capace di cogliere la natura nei momenti più vivaci e violenti, colori e luci, impressioni e stati d’animo con pennellate vibranti e mosse. Paesaggi, si ricordino gli sfondi già citati, non ripresi dalla realtà ma quasi materializzazioni improvvise a seguito della luce del ricordo. Il potere creativo di una memoria in cui convivono mille informazioni.

Per un seguace della musica punk rock, può apparire quantomeno strano il recupero di Jan van Eick di cui Montini inseguiva la minuzia nordica e una luce non selettiva come nel Rinascimento italiano ma che, mettendo tutto parimenti in rilievo, esalta dettagli, svela un ricchissimo universo e sposta l’uomo dal centro del mondo. Nel quadro da lui citato, infatti, il protagonista sembra essere il paesaggio centrale. 

Di un John Williams non ho trovato tracce. Forse si tratta di John William Waterhouse, un pittore preraffaellita di cui è comprensibile l’accettazione nel suo “carnet dei preferiti”.

Come è convincente l’attrazione subita nei confronti di Dulac, il re dell’illustrazione che ha fatto sognare generazioni di piccoli e grandi tra Shakespeare e Notti Arabe, Andersen e Poe. Di nuovo, si osservi il quadro di Montini con libellule o farfalle che assomigliano alla Trilli di Peter Pan e le si confrontino con le “Little Fairies” di Dulac. Un confronto significativo e un passaggio dall’illustrazione all’arte, realizzato da un artista ribelle che non voleva diventare grande.

Infine, la Hudson River School con pittori alla scoperta di paesaggi più realistici e dettagliati di quanto non avessero fatto i loro riferimenti: Lorrain, Constable e Turner. Di uno di questi, Thomas Cole, non possiamo non citare il quadro “The Titan’s Goblet”: il calice del titano che Montini ha ripreso in uno dei suoi rari quadri dedicati ai fiori. Sempre di Cole si vadano a visitare le immagini relative al ciclo “The Course of Empire”.I cinque dipinti di Cole, a volte parzialmente citati da Montini, sono una sorta di allegoria che rappresenta le fasi del decadimento dell’umanità. Gli episodi sono: “Stato Selvaggio”, “Stato Arcadico o Pastorale”, “Compimento dell’Impero”, “Distruzione”, “Desolazione”. Montini sembra avere shakerato quest’opera, averne ripreso brani, sconvolto la successione. Se il quadro finale di Cole è una scura immagine in cui sono evidenziati i segni della caduta di una grandiosa città immaginaria (rovine, ponti crollati, una sola colonna ormai nidificata) a simbolo di un possibile futuro in cui l’umanità è stata distrutta dalle proprie mani, le ultime opere di Montini sono invece più vicine a Pinocchio che ad Amleto. 

Da tutti questi esempi, Montini ha tratto stimoli per opere in cui l’ambientazione, il paesaggio, ha un ruolo determinante. Un paesaggio che è l’alveo simbolico in cui si agitano tante passioni, paure, tremori e speranze. Un paesaggio che è l’ambito, più o meno piccolo o immenso, in cui si gioca la vulnerabilità della condizione umana, tra contingenza, futilità e non senso.

Sono stato sempre preso dalla grande qualità della pittura di Montini, dalla sua ironia verso la fama, dai suoi dubbi sul significato e valore della propria opera, dal suo disincanto nei confronti delle proprie capacità. Sintomi, invece, della vera, modesta e tranquilla grandezza. L’insoddisfazione per se medesimo e la sincerità dei suoi dubbi non gli hanno impedito di continuare ad operare – magari “correggendo” vecchie opere nello studio - pur con il tormento di non potere dare risposta a domande fondamentali e di ingannare con i suoi quadri. Nonostante tutto, ancora Thomas Mann, “si lavora tuttavia, si raccontano storie, si dà forma alla verità, e si rallegra con essa un mondo miserevole nell’oscura speranza, quasi con la certezza, che la verità e la forma serena abbiano sull’anima un effetto liberatore e preparino il mondo ad una vita migliore, più bella e più in armonia con lo spirito”. 

L’”iceberg Montini” non è, forse, altro che questo: il ritratto del vortice immenso di memorie, di aspirazioni, di disillusioni, di aride concretezze, di incubi e di sogni di una umanità sempre preda di dubbi e di angosce ma anche capace di furtivi lampi di immaginazione e di speranza. Illusioni e finzioni, queste ultime? Forse sì. Ma almeno una finzione, la sua magnifica pittura, è diventata realtà.


Claudio Montini - Il pittore dei sogni

di Emilio Dalmonte

Il paradosso è che se Claudio Montini fosse ancora tra noi, questa mostra di una sessantina dei suoi quadri migliori e il catalogo della sua intera produzione non si sarebbero potuti fare.

Perché Claudio era da anni isolato nel suo eremo, deluso dal mercato dell’arte e ormai disinteressato alla fama di pittore, eppure proteso verso la ricerca di una sua ideale perfezione artistica. Per questo alternava lunghi periodi di indolente inattività a momenti in cui rilavorava ossessivamente le tante opere ammucchiate sul suo tavolo. Se avesse potuto, avrebbe ritirato dalla circolazione anche tutti i quadri già venduti o donati nel corso degli anni, perché era sicuro che ognuno di essi potesse, anzi dovesse essere migliorato e portato infine a compimento. 

Come mi disse una volta, “cerco la pennellata definitiva”.

Saranno i critici d’arte a giudicare l’opera di Claudio Montini e a situarla nel panorama artistico contemporaneo, ma per me Claudio è stato, e resta, il pittore dei sogni.

Solo nei nostri sogni, o incubi che siano, è possibile immaginare un mondo così distopico e affascinante, epico e al contempo assurdo, fatto di accoppiamenti incongrui tra paesaggi giurassici oscuri e forme abbaglianti, tra oceani cupi e figure eroiche di una fragilità commovente, perché potenti ma impossibili. 


Sfido chiunque a restare indifferente di fronte alle opere di Montini. Al primo sguardo salta agli occhi -beffarda- una incoerenza di fondo: paesaggi Turneriani con alieni alla Giger (il suo disegnatore di culto), ma anche oggetti illogici, animali fuori contesto ed esseri umani stilizzati. Ma dopo un attimo si ammirerà la precisione del segno, la maestria stilistica, la forza del colore e la suggestione delle sfumature. In poche parole, si capirà di essere di fronte al lavoro di un vero maestro. 

Questa mostra è un tributo a lungo dovuto, e il risultato di un lavoro di squadra che ha riunito sinergicamente una serie di competenze e volontà. Ora il Comune di Cotignola ha finalmente l’occasione di celebrare questo vero artista, nonché concittadino, e la sua famiglia può onorare un parente geniale, mentre una moltitudine di amici ricorda con nostalgia tutto ciò che Claudio è stato: l’amico d’infanzia, il giovane deejay ribelle di Radio Music International, l’anima di Cotignola Rock, l’irregolare da imitare, il creativo a tutto campo, ma soprattutto l’artista totale.

Uso l’aggettivo “totale” non a caso, perché qualunque fosse l’attività in cui si cimentava – pittura, fotografia, fumettistica, grafica o musica - Claudio ne faceva una sua passione, e ad essa applicava il suo ingegno multiforme e quella particolarissima miscela creativa, fatta di fantasia sfrenata e di entusiasmo misto a indolenza, che assicurava risultati ogni volta imprevedibili, ma sempre degni di nota.

Ed è anche per questo che la presentazione dei suoi quadri si arricchisce di una appendice più personale, quasi intima. Si tratta dell’ultima tappa del percorso della mostra, una stanza-tributo allestita da un gruppo di vecchi amici di Claudio, che prende spunto da alcune sue tavole originali raccolte sotto il titolo “Le avventure di Tristano”: un fumetto autobiografico senza dialoghi risalente ai primi anni ’80. È a prima vista il riassunto in immagini di una giornata tipo di Montini ai tempi dell’Accademia a Bologna, ma a ben guardare c’è dentro, in miniatura, tutto il suo mondo: i sogni, gli amici, la solitudine, gli amori, il punk dei Ramones, la mitica R4 tappezzata di adesivi, e tanto altro ancora. 

Partendo da questo catalizzatore, la stanza, opportunamente non rinfrescata, offre al visitatore una carrellata di oggetti e materiali “montiniani” di ogni tipo, dagli album di fumetti ai ritagli di giornale, dalle cassette musicali alle foto in bianco e nero, dagli adesivi autoprodotti alle diapositive. Si tratta di una minima parte di quello che Claudio, raccoglitore compulsivo, ha accumulato per anni nei suoi armadi e nei suoi cassettoni, ma oggi può servire a rintracciare alcune delle molteplici fonti di ispirazione a cui attingeva per ogni suo lavoro. Ogni pezzo deve essere visto come una suggestione, un invito a scatenare la fantasia personale, a trovare un minimo spiraglio nella mente misteriosa di un eccentrico di talento. In ultima analisi, è il tentativo di interpretare una vita. 

Ed è proprio una vita talentuosa, quella che vuole celebrare questa mostra delle opere e del mondo di Claudio Montini, riunendo in una cornice artistica e in un abbraccio ideale coloro che ammirano la purezza dell’arte frutto di una mano felice, e chi, oltre a ciò, rimpiange l’amico di sempre: la persona-Montini, che, dietro l’apparente distacco, ha sempre conservato un carattere buono e premuroso, ma ha anche nutrito quella fragilità d’animo che in questi ultimi anni gli ha fatto scegliere la riflessione, lontano dal mondo. 


Claudio…per sempre Gabba gabba hey !

Pubblicazioni

Sono disponibili le seguenti pubblicazioni:


Catalogo della mostra
Claudio Montini - The End - paesaggio con dolcissima fiera


Fanzine Claudio Montini



 Chi fosse interessato è pregato di contattare la segreteria “contattaci”